L’acqua alta a Venezia e i saperi della Laguna. Intervista ad Antonio Foscari

L'architetto veneziano racconta a Domus l'acqua alta del 2019 con un ragionamento sulle fragili complessità della Serenissima e del suo delicato ecosistema, inscindibili dal caso MoSE.

Un anno fa l’acqua alta affogava Venezia sotto la seconda più alta mareggiata della sua storia, con 187 centimetri d’acqua e raffiche di vento oltre i 100 Km/h. Il tragico evento che i veneziani vissero come uno tsunami preannunciato solo in parte, riportava i riflettori su una vicenda cara a tutta l’umanità, ossia la scomparsa di questa meravigliosa città per mano della natura e dei cambiamenti climatici da un lato, e per la progressiva mancanza di manutenzione e del “sapere” dall’altro.

Pubblichiamo un’intervista inedita all’architetto Antonio Foscari fatta nei giorni seguenti l’accaduto. Il professore – che vanta nel suo curriculum un Ordine al merito della Repubblica Italiana, la Légion d’Honneur de la République Francaise, la presidenza dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, la vicepresidenza della Fondazione Querini Stampalia e un posto nel Consiglio di Amministrazione del Louvre e in quello del CISA Andrea Palladio – ci racconta nel suo studio, a due passi dal ponte dell’Accademia, il retroscena di un luogo che conosce come pochi altri al mondo: la laguna.

Dai tempi in cui lo stesso Leonardo Da Vinci si rifiuta di gestire la rete delle acque veneziane, poiché troppo complesse per lui, alle lunghe vicende del MoSE, coincise con lo spopolamento dell’intellighenzia legata alla gestione dell’acqua da cui gli olandesi presero spunto per le bonifiche nel territorio dei Paesi Bassi, Foscari paragona la gestione ottimale dei bacini lagunari alla gestione del Louvre: ogni sezione con la sua peculiarità.

Ora in molti si stanno mobilitando per riappropriarsi di queste conoscenze come Ocean Space, nella stessa Venezia, progetto che riunisce un impressionante numero di figure per un confronto transdisciplinare sullo studio dei mari e delle zone costiere, usando proprio la Laguna come caso ambientale unico in Europa. Basti pensare alle 140 specie avicole che qui nidificano e alle oltre 180 che qui svernano: l’immobilità del lockdown l’ha reso visibile a tutti.

Leggi anche: A vision for the cities of the future

Antonio Foscari nel suo studio a Venezia. Foto Giulia Di Lenarda

12 novembre 2019

Come ho vissuto questa tragica vicenda? Non ha importanza, sono tutti episodi individuali, tutti penosi. Alla fondazione Querini Stampalia abbiamo perso 300 metri lineari di scaffali compact da archivio che erano al pian terreno. Qui al conservatorio di musica sono andati sott’acqua spartiti antichi, quindi alla fine è proprio una tragedia collettiva, dove ciascuno ha una sua versione personale del combattimento con le acque: al pian terreno di casa mia l’acqua entrava dalle finestre.

Il MoSE

C’è un problema di fondo che bisogna affrontare e dopo 50 anni siamo al punto di 50 anni fa. Cioè, non si è costruito nessun futuro in 50 anni. Il progetto del MoSE è concettualmente sbagliato, al di là dell’aspetto tecnico, che funzioni o meno. Se anche il MoSE fosse entrato in funzione il primo giorno che hanno pronunciato questo nome, non avrebbe impedito la distruzione della laguna che è in atto. La laguna perde circa 3-4 milioni di m3 di materiale all’anno. Ha perso negli ultimi 30 anni circa 140 km2 di barene, cioè di bagnasciuga: è una distruzione totale. Il MoSE, cioè, un sistema di difesa – come dice la legge – di Venezia e la sua laguna, avrebbe preteso che una barriera che si facesse, proteggesse Venezia e la sua laguna. Diamo per scontato che con questo sistema la laguna è fuori combattimento, quindi il progetto è quantomeno incompleto.

La Laguna

La Laguna è lo spazio umido più grande d’Europa, quello di più antica antropizzazione, ed è un elemento fondante della storia di Venezia, perché è lo spazio di libertà che Venezia e i veneziani antichi sono riusciti a ricavare fra l’impero franco e l’impero bizantino. Ciò perché un esercito a cavallo non può entrare nella Laguna e le navi bizantine nemmeno. Si era creato questo singolarissimo spazio di libertà in cui si è costruita una diversa civiltà e Venezia non ha mai avuto mura che la difendessero ma ha sempre usato questo strumento d’acqua come elemento della propria identità, del proprio funzionamento. Insomma, è un capolavoro dell’umanità questa Laguna. Naturalmente è un po’ più concettuale della bellezza del Palazzo Ducale, ma era una costruzione antropica di straordinaria qualità, nella sua articolazione naturalistica e la stiamo distruggendo.

Sistema lagunare, non laguna

Il secondo gravissimo errore è di non considerare il fatto che la laguna di Venezia dovremmo più correttamente chiamarla un sistema lagunare, anticamente fatto da diverse lagune, non comunicanti tra loro. C’erano delle zone di spartiacque quasi emerse, come dei polmoni. Due polmoni che funzionano entrambi: sono lo stesso sistema ma sono due entità distinte. Questi bacini adesso vanno sparendo o sono completamente distrutti perché la distruzione della morfologia della laguna comporta anche questa distruzione. Questi tre bacini, chiamiamoli tre – in realtà sarebbero di più ma diciamo tre perché ormai tre sono le bocche portuali che conosciamo – hanno delle caratteristiche e delle vocazioni distinte. Il sistema lagunare di Venezia, quello che è alimentato dalla bocca portuale di San Nicolò, contiene tutta la parte antropica di maggior valore storico e artistico: Venezia, Murano, Burano, Giudecca, Torcello, isola di San Francesco del Deserto. È tutto lì. Nel bacino lagunare di mezzo, non c’è neanche una casa, ed è lo sbocco al mare della zona industriale di Marghera. Infine, abbiamo il bacino inferiore che è quello di Chioggia.

Laguna come il Louvre

Questi tre bacini andrebbero affrontati separatamente fra loro, perché hanno caratteristiche diverse. Sono stato per molti anni nel consiglio di amministrazione del Louvre, un sistema museale che sarebbe dovuto rimanere un’unità concettuale. Ciascuna sezione ha però delle specificità: per esempio, dove ci sono le tavole fondo oro si deve regolare l’umidità in maniera rigorosissima altrimenti il legno si muove; nel dipartimento dove ci sono i disegni si deve regolare con la stessa severità la luminosità sennò la luce brucia la parte grafica dei disegni; e avanti così. Dove c’è la Gioconda o dove c’è la Nike di Samotracia si devono fare spazi larghissimi per ragioni di affluenza dei visitatori. Quindi un progetto intelligente di gestione delle acque avrebbe dovuto considerare le specificità dei bacini per esaltarle.

Tre bocche, tre problemi

Affrontare le tre bocche portuali con lo stesso progetto è stata una straordinaria e azzardata scelta di convenienza economica – almeno all’inizio, prima che il costo dell’opera triplicasse –, perché avviata con un solo progetto e un solo cantiere. Già una partenza di questo genere è in un certo senso colpevole. Non si può trattare allo stesso modo la bocca centrale del porto di Malamocco, la cui grande profondità permette il passaggio per le grandi navi, e la bocca portuale di San Nicolò di Lido, che è quella che serve il bacino lagunare di Venezia.

Quest’ultima bocca portuale, nel 1700, durante la fine della Repubblica, aveva un fondale di 2,80 metri. Qui, le navi più grandi dovevano aspettare la marea per entrare, per avere quei 50 centimetri in più che consentiva loro di superare questo scalino. Adesso è a 14 metri di profondità, quindi voi capite che la storia stessa ha modificato la realtà fisica e continuerà a modificarla sia perché continuerà la subsidenza del suolo, sia perché continuerà l’innalzamento del mare. Quindi, moltiplicare per tre il problema, fare uguali i progetti per le tre bocche portuali quando sono tre problemi diversi è già – a mio modo di vedere – uno straordinario errore concettuale.

Venezia avrebbe potuto essere, come dire, il riferimento nel mondo sul problema del riscaldamento del pianeta, essere faro e conoscenza di sperimentazioni vere

Un’opera sperimentale

Con il MoSE, poi, ci sono ancora molti problemi tecnici: una persona responsabile della realizzazione di questo progetto ha scritto ieri sui giornali (riferito al 13 novembre 2019, ndr.) rispondendo a chi chiedeva perché non fossero state alzate le paratie del MoSE “perché è un progetto sperimentale e noi ancora non siamo in grado di fare i collaudi”. Quindi dopo aver speso un importo che è pari a tre volte il costo dell’autostrada del Sole, dire che è un’opera sperimentale e che non si sa ancora come funziona, mi sembra una cosa piuttosto grave. Le sperimentazioni vanno fatte nei laboratori: questa sperimentazione è costata, adesso dicono, 7-8 miliardi di euro, senza contare il costo di tutte le opere collaterali fatte per preparare l’avvento di quell’opera – e si arriva facilmente a 12/13 miliardi –, come degli arginamenti e le palificazioni della Laguna che le correnti e l’acqua hanno già completamente distrutto prima dell’entrata in funzione dell’opera. Quindi come si vive questa situazione? Male. È inutile fare grandi discorsi, male.

Mappa storica della Laguna di Venezia. Image via google images

Il Magistrato delle Acque

Quello che è più pesante ancora è la distruzione dei saperi, la distruzione morale che ha creato una vicenda così lunga, 30-40 anni, in un territorio relativamente piccolo come il Veneto. Ha coinvolto quasi tutti i ceti professionali: non c’è più, in tutti gli interventi che ci sono stati in questi giorni, un ingegnere di idraulica o un responsabile di opere pubbliche che abbia parlato. La crisi del MoSE ha trascinato nella distruzione quell’istituzione che si chiamava Magistrato alle Acque, che per cinque secoli aveva regolato questi problemi. Il sindaco di Venezia, ad esempio, non ha giurisdizione su certe parti della laguna, nemmeno il Doge ce l’aveva. Nel 2014 hanno anche eliminato l’organismo del Magistrato alle Acque dopo aver scoperto che era profondamente corrotto.

Leonardo da Vinci

La Magistratura alle Acque era una tradizione, qui hanno inventato l’idraulica moderna. I veneziani per conservare la laguna hanno spostato i fiumi, oggi in città è difficile rifare il marciapiede. A Roma fanno fatica a riasfaltare le strade dalle buche. Questi veneziani senza motori a scoppio o trattori hanno spostato dal loro alveo il Piave, il Sile, il Brenta e l’Adige. Quindi la natura si può modellare intelligentemente per raggiungere i fini che si vogliono raggiungere, ma bisogna avere delle competenze. A quell’epoca, stiamo parlando di 500 anni fa, veniva anche Leonardo da Vinci. Gli olandesi hanno imparato queste cose dai veneziani: se si distruggono le competenze, alla fine si è per forza in balia delle onde.

Proibito parlare di idraulica: scuola Vinciana vs. scuola Veneta

Progetti alternativi al MoSE? Non ce ne sono. Ognuno può avere la sua idea e io ho la mia. In antico era proibito – parlo ancora della Repubblica di Venezia – parlare d’idraulica. È materia molto complessa, e l’idraulica lagunare lo è molto di più di quella dei fiumi. Nessuno è riuscito a realizzare un modello matematico per descrivere come si muovono le acque in laguna. Quindi veramente la prassi antica era di avere una grande esperienza e di procedere per gradi, per vedere come si comportano poi le cose. È una scienza empirica: è per questo che non si può trovare uno specialista che viene da Londra: Leonardo da Vinci (che non era scemo) dopo un mese che è stato qui ha detto “Io questa qui non la capisco” e, da quel momento, nella scienza moderna si sono separate le due scuole d’idraulica: la scuola Vinciana e la scuola Veneta. La scuola Veneta non è, in realtà, una vera e propria scuola, è un sapere frutto di una conoscenza specifica ed empirica, di una prassi.

Acqua, barchini e acqua

Erano dei saperi depositati. Negli anni ho girato in barca la Laguna, con un geometra che la conosceva come io conosco le tasche della mia giacca. Adesso per la gente è banalmente acqua su cui, col barchino, ci si fa un giro: questa è la Laguna oggi. Si è perduta la nozione fisica di ciò di cui stiamo parlando. Quando ero ragazzino andavo a prendere i ‘caprozzoli’ – chiamavamo così le vongole – in una certa parte della Laguna si camminava con l’acqua fino al ginocchio. Adesso lì sono sei metri di profondità. Pensi che dentro la laguna c'è il punto di maggior profondità dell'Adriatico. Tornando al contadino e a al geometra, sono eredi di una cultura secolare che non ha nulla di accademico o di formalista però è piena di saperi. Il geometra con cui giravo la Laguna sapeva tutto, e non ho mai più trovato un ingegnere idraulico che sapesse quanto lui. Adesso gli studenti di architettura stanno cinque anni nella facoltà di architettura ma non vanno neanche a visitare l’architettura. C’è una separazione anche nella formazione, si esclude l’esperienza. Su alcune cose non si può che essere sperimentali, insomma. Se si vuole imparare ad andare in barca a vela non si studia a tavolino, bisogna andare, prendere il colpo di vento, capire come si fa.

Olanda vs. Venezia

Sul bordo della Laguna ci sono dei forti argini che proteggono, ad esempio, la riviera del Brenta, fatti dalla Repubblica nel Cinquecento per evitare che gli allagamenti della terraferma venissero in laguna, ma che proteggono completamente la terraferma da qualsiasi allagamento di acqua salata. Ci sono 40.000 ettari del Veneto che sono al di sotto del livello del mare, che sono protetti da argini, da idrovore, come metà dell’Olanda. Quest’ultima ha già un piano perfetto, ha già deciso quali terreni abbandonare al mare, sta già rialzando le dighe di quelli che invece vuole difendere. Qui invece non c’è nulla. Dico ancora, e poi credo di aver detto tutto, e di troppo e di più, che Venezia avrebbe potuto essere, come dire, il riferimento nel mondo sul problema del riscaldamento del pianeta, essere faro e conoscenza di sperimentazioni vere. Avremmo dovuto essere il centro di queste ricerche e l’emblema delle soluzioni, come nei secoli passati. E invece questa coscienza non c’è più. È da notare che nelle opere pubbliche dell’immediato Dopoguerra eravamo i migliori al mondo, eravamo noi che facevamo le più importanti dighe, autostrade o ponti, in giro per il globo. Adesso sembrano non esserci più le voci, o forse non ci sono nemmeno più le competenze. O che chi ha quelle competenze non ha più nemmeno l’orgoglio di vantarle.

L’opera meccanica ed elettromeccanica sott’acqua

Torniamo ancora un passo indietro, sull’impostazione del progetto: un’opera meccanica, ed elettromeccanica sott’acqua è una stravaganza che nel mondo non è venuta in mente a nessuno prima d’ora. È stata fatta cedendo a una certa suggestione che non si dovessero vedere opere per non turbare il paesaggio. Quindi l’idea che quest’opera si ripiega e va sott’acqua, implicherebbe che il paesaggio fatto di carciofi nel nostro estuario non venga turbato? Gli scavi che sono stati fatti sul fondo della laguna per mettere questi cassoni sui quali vengono ancorate le paratoie sono un intervento che intacca la stessa struttura geologica del fondale della laguna. Certo non lo si vede, ma che ambientalismo è mai quello che si accontenta di non vedere un’opera, quand’anche l’altra fosse devastante perché è subacquea? Una serie di equivoci e una serie di mancanze. Io metterei fra gl’imputati tutti i sindaci di Venezia che si sono succeduti. Non si sono fatti interpreti di un pensiero come quello che io dico elaborandolo di più. Si sono trovati anche loro ad armeggiare con questo fiume di danaro, con questa alta marea di danaro che ha travolto tutti. Se volevate qualcosa di severo, io l’ho detto.

Il Tamigi e lo Tsunami

Sul Tamigi hanno fatto con delle cerniere due enormi portelloni: quando arriva l’acqua, premendo, li chiude, e quando l’acqua scende si riaprono: fine. Sono stato nelle gallerie sotterranee e subacquee del MoSE. Nessuno aveva mai fatto prima delle opere idrauliche mobili in mare. I motori subacquei non esistono perché l’acqua è corrosiva, perché lì sotto si riempie di cozze, di sabbia, di conchiglie. E soprattutto, quando i portelloni vengono colpiti dalle onde cominciano a muoversi: sono alti 40 metri, la distanza fra loro è di 6 centimetri. Basta un millimetro di spostamento per fra capitare un disastro: non avremo più l’acqua alta, ma lo Tsunami. L’acqua alta, sì, è drammatica, ma si alza. Ma se arriva un’onda di due metri, è finita.

Un vuoto morale

La crisi del MoSE ha creato un vuoto morale, intellettuale o professionale pauroso. Ha trascinato nel gorgo una generazione intera. Sarò prontissimo a intervenire nuovamente su questi temi quando ci sarà un tavolo o un interlocutore con cui parlare: non c’è tavolo, né interlocutore. Ripeto, mettete questo caso del MoSE, se fate giornalismo, insieme a quello dell’Ilva di Taranto, insieme a quello dell’Alitalia e a quello della FIAT, e voi vedete nel giro di 30 anni di quest’ultimo passaggio, l’Italia sta uscendo dall’ambito dei Paesi che abbiano un certo peso intellettuale e morale, oltre che finanziario. Sono delle crisi tutte omogenee, delle crisi che rappresentano un collasso di una classe dirigente. Allora noi siamo tutti coinvolti. O, per lo meno, uno come me è sicuramente coinvolto dalla fisicità del problema perché sono immerso nell’acqua, ma anche dalla drammaticità della questione morale e culturale, nonché politica.

La Luna in sizigia

Bisogna tenere alto il dibattito per trovare soluzioni perché il problema dell’innalzamento del mare continuerà così come il problema delle maree, soprattutto quando la Luna è in ‘sizigia’. Per questo l’acqua alta arriva sempre a novembre: la Luna ruota attorno alla Terra con un percorso ellittico. Quindi in un certo momento è molto lontana dalla terra, poi, invece, quando è alla parte stretta, è vicina. La marea è il frutto dell’attrazione lunare: la Luna ‘tira’ la Terra e l’acqua segue la Luna. Tant’è vero che il ciclo delle maree è di 28 giorni, come quello della Luna. Quindi ritualmente capita ogni anno a novembre: è sufficiente che l’attrazione dell’acqua fatta dalla Luna si sommi alla spinta del vento e ad altri fatti meteorologici. Per questo non si dice alta marea ma acqua alta, perché è il frutto di diverse componenti, è l’effetto di una somma di input.

Sono sparite infinite civiltà

L’aspetto patetico della questione, in senso doloroso, è che se sono sparite infinite civiltà, e può sparire anche questa. La cosa impressionante è che non sembra esserci un luogo dove questo tema venga messo sul tavolo e che le persone, responsabilmente, prendano delle decisioni: se si è su un aereo e non c’è un pilota cambia un po’ tutto lo stato d’animo di chi si trova su quell’aereo. Quindi, usiamo pure la straordinaria suggestione, la bellezza di Venezia – voi vedete, tutto il mondo se ne occupa – ma non usiamola solo dal punto di vista turistico, usiamola anche come leva per sviluppare conoscenze e teorie.

Una vecchia signora smagliante

Io non faccio il veneziano, non ho nostalgie ‘venezianistiche’. Per me i veneziani sono quelli che amano Venezia, che siano francesi o cinesi. Sono molto solitario, sono qua di sabato e di domenica, ma il luogo è bellissimo, gradevolissimo: si può uscire in Campo Santo Stefano, ci si può sedere dove si vuole, prendere uno Spritz: è tutto bellissimo. Venezia è un’unicità storica, una ricchezza storica straordinaria che è quasi un’enciclopedia inesplorata. Ognuna delle famiglie veneziane intraprendeva a Damasco, l’altra a Samarcanda, uno aveva l’accordo coi carovanieri: c’era veramente un cosmopolitismo. Al punto che, a me pare, che questo affollamento di genti diverse di Venezia siano comunque una metafora del cosmopolitismo veneziano, e sono così solitario che non mi disturba affatto di non conoscere nessuno. I visitatori o nuovi abitanti dall’estero continueranno a venire a Venezia finché c’è. Il fatto che sparirà è una cosa che aumenta la loro attrattiva. Mi diceva un signore che arrivava dalla Cina che a fare la richiesta per il passaporto con la motivazione di visitare Venezia ci sono 98 milioni di persone. Non sanno cos’è Francoforte, Düsseldorf, Marsiglia o Belgrado, ma sanno cos’è Venezia. E quindi questa vecchia signora, smagliante di bellezza e debilitata di forze, è molto suggestiva. Anche questo aspetto della sua femminilità inesauribile mi piace.

Un messaggio per i nostri lettori più giovani?

Bisogna far bene le cose che si fanno, bisogna farle veramente bene. E guardarsi intorno, non guardarsi dentro.

La ringraziamo moltissimo e speriamo…

Speriamo. Una volta ero con Le Corbusier e gli ho detto “beh, speriamo”. Lui m’ha detto “No, perché sperare in spagnolo vuol dire aspettare”. Fulminante, è proprio da Le Corbusier: era più giovane di me nel dire una frase di questo genere. Una frase di grande gioventù, di grande gioia di vivere. È morto due mesi dopo, nuotando: ho scritto “è andato a nuotare verso l’orizzonte”, lui sapeva che aveva forse l’Alzheimer. Voleva sparire. Da uomo che era stato sempre così razionale, non voleva morire col compianto, coi sentimenti. Gli piaceva di più come Maria Vergine: Assunzione nel cielo. In quel giorno è sparito, non abbiamo più saputo nulla di lui. È andato in questa sua tana che era in Costa Azzurra e si è messo a nuotare. Il mare impietoso lo ha restituito e due mesi prima diceva che non voleva sperare perché in spagnolo vuol dire aspettare.

Per me questa conversazione è stata la possibilità di parlare, perché in questi giorni non ho parlato. Entrava l’acqua dalle finestre, essendo una casa bassa, al pian terreno. È un po’ una violazione, uno sfregio.

Commenti

Post più popolari